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ROMA E LA RYDER CUP
LA MIA RYDER…

di Stefano Buccafusca

Ci sarebbe voluta la mano di uno Spielberg o un Sorrentino messi insieme per raccontare la mia Ryder Cup 2023.  Evento planetario, eppure vissuto quasi in sordina in Italia che ha avuto il privilegio di ospitarlo. Il regista immaginario avrebbe colto tutte le sfumature dello spettacolo sportivo, umano, aggregante e coinvolgente della Ryder a cominciare dalla sede designata: il Marco Simone Golf & Country Club.

Situato nel comune di Guidonia Montecelio, 90mila anime (un numero quasi pari ai golfisti di tutta la Penisola), il circolo è stato inglobato per l’occasione sotto l’ombrello di Roma, assurta per una settimana a “caput mundi golf”. A ben vedere però sulla “Grande Bellezza” (e sul Marco Simone) è planata dal Regno Unito una vera e propria macchina organizzativa efficientissima, in grado di gestire, programmare e controllare tutto l’evento (ristorazione, media, sponsor, marshall, security, volontari inclusi).

L’astronave “Ryder trek”. 

Ma attenzione, fuori dal campo c’è anche traccia dell’efficienza nostrana. I lavori realizzati a tempo di record che hanno migliorato, e di molto, la viabilità nell’area limitrofa al circolo. Poi un dettaglio importante che non sarebbe certo sfuggito al mio regista immaginario.

Il “popolo” della Ryder.

I “marziani” arrivati da ogni dove sulle due sponde dell’Atlantico per tifare in coro  “U-S-A” o “EUROPE”. Uno spettacolo unico ed irripetibile di questa sfida numero 44 fra le due squadre. L’entusiasmo dei tifosi europei riuniti sotto la bandiera comunitaria. Compresi i norvegesi che ne sono fuori, e i britannici che hanno ignorato la Brexit per sventolare, indossare i colori dell’Europa unita fino ad intonare l’Inno alla Gioia, durante la cerimonia di apertura. I “ryderisti” americani hanno risposto a modo loro, vestiti in “stars and stripes” dalla testa ai piedi. E già questo valeva un biglietto. Sono arrivati un po’ da tutti gli stati: Florida, California, Texas, Oregon, Pennsylvania, Arizona. Ma il più sorprendente, quello volato dalla remota Fargo, Nord Dakota, resa celebre da un film dei fratelli Cohen.  Catturavano l’occhio i tifosi assiepati sulle tribunette del driving range, smartphone alla mano per le foto ai 12 giocatori , ed intonare cori per il team di Zach Johnson, con la “speranziella” di sovvertire il pronostico a loro sfavorevole.

E i tifosi italiani?

Sono stati sovrastati dall’allegra caciara straniera, benché privi del beniamino tricolore cui tifare.  Ah, se ci fosse stato il Molinari del 2018, cosa sarebbe successo…. Nell’arena del tifo assordante alla buca 1 (come con gli immancabili “silence” che precedono il tee shot) si è così colta appieno l’essenza della Ryder Cup. Valori sportivi che non sono stati di certo scalfiti dalle scaramucce post-partita fra McIlroy e Joe La Cava, caddie di Cantlay, o dalla telenovela sul “cap-gate” dello stesso Cantlay.

Lo spettacolo era in campo, con i 50mila che hanno travasato sulle 18 buche del Marco Simone passione ed entusiasmo. Veri e propri boati che rimbalzavano fra una buca e l’altra a corredo degli incredibili birdie di Rahm, i colpi spettacolari di Hovland, quelli dei recuperi impossibili di Fleetwood e McIlroy. A loro hanno risposto i tre assi californiani che hanno retto gli States: Homa, Morikawa e Cantlay. Ma la strategia di Luke Donald ha retto alla grande (complici i green e i rough del campo). E lo si capiva dal clima in sala stampa. Il capitano degli europei sicuro e mai a disagio, sintetico e ironico nei botta e risposta con la stampa. Più incerto Johnson (capitano di transizione? In attesa di Tiger?), chissà forse già preda di oscuri presagi per il team USA.

Alla fine, il trionfo Europa si è materializzato in una grande festa in mondovisione, mentre lo sciamare delle migliaia di persone nel Villaggio a caccia di una birra o di un ultimo gadget da portare a casa, ha accompagnato il tramonto sulla prima Ryder “made in Italy”.

Cosa resta alla fine?

Tante emozioni da appassionato golfista, ma anche un interrogativo. Quello del tassista che mi ha riportato verso casa: “Scusi dotto’ ma che è sta Raider ?”.